Sacchi: “Il calcio giovanile una vera miniera ma non sappiamo fare sistema”
Il coordinatore tecnico delle nazionali minori azzurre non lesina critiche ai club: “I nostri ragazzi hanno grandi potenzialità, ma non vengono valorizzati adeguatamente. All’estero si investe di più, c’è maggiore pazienza e la qualità del gioco rappresenta la priorità. Qui conta solo vincere, con qualsiasi mezzo”
“Il calcio giovanile in Italia è una vera e propria miniera d’oro, ma ancora non abbiamo compreso come valorizzare i talenti e come aiutarli nella loro crescita”. Parola di Arrigo Sacchi. Il coordinatore delle nazionali giovanili azzurre fa suonare l’ennesimo campanello d’allarme, nella speranza che i nostri club professionistici sappiano dare una sterzata al loro modo di operare. “Il calcio è lo specchio del Paese e risente degli stessi problemi che affliggono la politica e il sociale. La realtà è che non sappiamo fare sistema come accade altrove. In Italia ci riusciamo soltanto con le associazioni a delinquere e le cosche mafiose”, spiega l’ex tecnico del Milan con un paragone tanto crudo quanto efficace.
Mister, a che punto è il calcio giovanile italiano rispetto a quello degli altri Paesi?
“Dipende da quale prospettiva analizziamo la situazione. I risultati delle rappresentative nazionali sono ottimi. Siamo riusciti ad arrivare in finale sia agli Europei Under 21 che Under 17. A livello di club, però, la situazione è ben diversa.
Come si spiega questa incongruenza?
“E’ la conseguenza di molti fattori che si sommano. Faccio qualche esempio. In Spagna Real Madrid e Barcellona investono ogni anno circa 50 milioni di euro sul settore giovanile. Da noi si arriva al massimo a 10-12 milioni. In Inghilterra, Germania, Svizzera, Belgio le federazioni hanno imposto ai club di creare delle Academies dove in una settimana si lavora quanto da noi in un mese.
Colpa solo dei club o anche della mancanza di cultura sportiva che si ripercuote sugli atteggiamenti di tifosi ed appassionati?
“Degli uni e degli altri. I giovani sono costretti ad esprimersi in ambienti isterici, dove c’è pochissima pazienza. E’ colpa del nostro modo di interpretare il calcio. Da decenni siamo subissati di scandali, pochi rispettano le regole e conta solo vincere. A nessuno importa dello spettacolo e pur di ottenere i risultati siamo disposti a tutto”.
Un quadro disastroso…
“E’ in questo contesto che, fortunatamente, si inserisce il miracolo italiano. Grazie al volontariato, alla passione disinteressata di molti operatori riusciamo a fare emergere talenti di grande prospettiva. I risultati delle nazionali giovanili ne sono la dimostrazione”.
E perché poi nessuno crede in loro?
“Generalizzare sarebbe sbagliato. Qualche società più competente che pratica un calcio coraggioso esiste anche da noi. In linea di massima, però, è un problema di mancanza di fondamenta. Michelangelo diceva che ‘i quadri non si dipingono con le mani, ma con la mente’. Per il calcio vale esattamente lo stesso principio. Il pallone è uno sport che si dovrebbe giocare con la testa, non con i piedi. Anni fa ho girato uno spot con Marchisio e Boateng. Le evoluzioni tecniche di cui i due si rendevano protagonisti in realtà erano opera di un calciatore freestyle che militava in Promozione. La tecnica fine a se stessa non basta”.
Quale la ricetta per cambiare rotta?
“Dobbiamo modificare la nostra mentalità. In Italia di solito vince chi subisce meno gol, in Spagna chi ne segna di più. Negli altri Paesi lo spartito da seguire è quello del gioco. Le squadre più titolate degli ultimi 40 anni, dal Liverpool all’Ajax, dal Milan al Barcellona, fino ad arrivare all’attuale Bayern Monaco hanno applicato il calcio totale. Ai ragazzi bisogna insegnare quanto sia importante la generosità in campo, lo spirito di sacrificio, l’etica di gruppo. Anziché alzare il livello individuale sarebbe il caso di potenziare il gioco di squadra”.
La scarsa qualità dei nostri impianti, invece, quanto pesa?
“Molto, abbiamo strutture quasi mortificanti che non tengono conto delle necessità dei ragazzi. Non è concepibile vedere squadre del campionato Esordienti giocare su un campo a undici. Questo significa privilegiare la forza a dispetto della tecnica ed assistere a partite fatte soltanto di lanci lunghi. I passaggi sono una merce rarissima”.
Quanti e quali gli allenatori italiani bravi a lavorare con i giovani?
“Senza fare nomi, alcuni ce ne sono. Anche qui, però, il vero problema sta nell’impossibilità di garantire adeguati aggiornamenti. Ulivieri sta facendo il massimo, ma da noi è impensabile effettuare corsi ogni due anni come accade altrove. I tecnici vengono tutti promossi, disconoscendo il merito, e sono troppi”.
fonte: la repubblica
redazione calcio giovanile sicilia
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