Che il calcio italiano vada rifondato a tutti i livelli e sotto ogni aspetto è fuori discussione, del resto le recenti figuracce della Nazionale italiana non possono passare inosservate e devono rappresentare un argomento di discussione in Federazione. Il mantra è sempre quello: “Ripartire dai giovani dei vivai”, una frase di cui si abusa spesso, ma nella quale nessuno sembra credere fino in fondo. I top club italiani continuano ad investire esclusivamente negli stranieri (spesso inadeguati pur costando decine e decine di milioni di euro), i settori giovanili sono composti principalmente da ragazzi provenienti da altri paesi, Damiano Tommasi pensa alle squadre B come soluzione dimenticando che, in realtà, i veri talenti del futuro nascono nelle categorie inferiori e non sempre vengono presi in considerazione a livello professionistico. Per fortuna, però, esiste ancora qualche storia a lieto fine. Oggi parliamo di Andrea Procaccio, ragazzo costretto ad allontanarsi dalla famiglia e dagli affetti più cari che fino a qualche mese fa temeva di dover riporre i sogni nel cassetto a causa di un sistema scarsamente meritocratico e che spesso penalizza chi, pur facendo gavetta e lavorando sodo, viene alla lunga messo in secondo piano per dinamiche non sempre “pulite”. “Le squadre di Lega Pro o di serie B puntano sui prestiti dei ragazzi di Milan, Inter, Roma o Napoli dimenticando che tra i dilettanti ci sono tanti ragazzi che meriterebbero un’occasione e che andrebbero seguiti di più. Personalmente ho fatto tanti sacrifici, non è semplice vivere a centinaia e centinaia di chilometri dalla propria famiglia, non poter abbracciare la propria ragazza o sentire gli amici più cari solo attraverso il telefonino. Qui al Nord la vita è cambiata completamente, fortunatamente sul mio cammino ho incontrato il Borgosesia che è una società molto seria che non fa mancare nulla ai propri tesserati. Mi piace la vita di campo, di spogliatoio, condividere tutto con i miei compagni. L’anno scorso sono retrocesso, quest’anno ho segnato 9 reti in gare ufficiali e sto raccogliendo i frutti dei sacrifici. Però…“.
Quel però era un pensiero ricco di paura, una sorta di divisione tra la consapevolezza di essere bravo e poter arrivare in alto e l’obbligo di tenere i piedi per terra per affrontare meglio eventuali delusioni. Ai suoi procuratori aveva svelato i suoi timori principali sostenendo che “in alcuni momenti, quando faccio gol o gioco delle belle partite, immagino un futuro in piazze importanti o comunque tra i professionisti. Poi, però, ascolto storie di ragazzi forti e con valori umani che non sono mai riusciti a fare carriera pur avendone tutti i requisiti. Vorrei che il calcio, come la vita, fosse meritocratico e desse a chi vale l’opportunità per dimostrarlo. Il recente fallimento dell’Italia dovrebbe far riflettere: in serie A alcune squadre hanno 3-4 italiani in rosa, in B e in C si pesca solo dai vivai delle big, ma in realtà le categorie inferiori sono un serbatoio eccezionale di talenti e servirebbero persone competenti che girino per i campi per seguirci. Vorremmo che il nostro lavoro sia apprezzato anche più in alto, ci farebbe capire che sacrificarsi per un sogno serve ancora a qualcosa. Le squadre B non risolverebbero il problema, anzi paradossalmente lo spazio per noi sarebbe ancora di meno”.
E il suo sogno è diventato realtà. La bravura dei procuratori, la perseveranza della famiglia (di origini salernitane), il sostegno della fidanzata e il coraggio dei dirigenti della Triestina gli ha permesso di firmare il primo contratto tra i professionisti, lui che l’anno scorso era stato già seguito dal direttore sportivo Mauro Milanese e dal tecnico Giuseppe Sannino. Questa sera, in uno stadio gremito, parteciperà alla presentazione della squadra ed avrà la possibilità di confrontarsi con compagni di spessore, esperti e pronti a farlo crescere attraverso consigli e magari anche qualche rimprovero. Il messaggio implicito che lascia in eredità questa storia, però, restituisce sorrisi e speranze: in un mondo non sempre meritocratico ecco che Andrea, con sudore, umiltà e sacrificio, è riuscito a coronare il suo sogno. Ed è tempo che il calcio torni a far emozionare i più giovani, quelli che crescono a “pane e pallone” e che non possono essere sempre messi in secondo piano.
Gaetano Ferraiuolo